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Детали релиза : I Pooh - Un Po' Del Nostro Tempo Migliore (1975/1990) [FLAC (image + .cue)]

AlbumI Pooh - Un Po' Del Nostro Tempo Migliore (1975/1990) [FLAC (image + .cue)]
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I Pooh - Un Po' Del Nostro Tempo Migliore (1975/1990) [FLAC (image + .cue)](кликните для просмотра полного изображения)
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Описание/Треклист
Artist: I Pooh
Album: Un Po' Del Nostro Tempo Migliore
Released: 1975/1990
Label: CGD S.p.A.; Warner Music Manufacturing Europe
Catalog #: 9031 70523-2 YS
Genre: Pop; Rock; Pop Rock; Progressive Rock; Chanson; Vocal
Country: Italy
Duration: 00:52:51

Tracklisting:

01. Preludio [3:55]
02. Credo [4:30]
03. Una Storia Che Fa Ridere [4:25]
04. Oceano [4:27]
05. Fantasia [3:18]
06. Mediterraneo [5:43]
07. Eleonora Mia Madre [6:23]
08. 1966 [5:03]
09. Orient Express [4:22]
10. Il Tempo Una Donna La Città [10:45]
Info
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Review written by Batty for debaser.it (on July 21, 2008 in the late afternoon)
Vote 5/5

Un po' del nostro tempo migliore, album uscito nel Febbraio del 1975, è un album che lascia alquanto interdetti gli ascoltatori dei Pooh.

I Pooh, indiscussi padroni della scena Pop-Rock Sinfonica nei primi anni '70, hanno in un certo verso capovolto quei capisaldi che facevano sì che i Pooh fossero famosi e ricchi.

Basati pensare ai due singoli del '71 "Pensiero" e "Tanta voglia di lei", singoli che vendettero più di un milione di copie in Italia.

Da "Opera prima" oltre a cambiare i componenti del gruppo, hanno cambiato radicalmente il loro modo di far canzone.

Sì, è rimasta l'orchestra, ma i testi e le melodie, completamente stravolti, hanno colpito i fan, che hanno reagito negativamente a questa voglia di evoluzione, lasciando praticamente invenduti sia questo album, che il suo seguito, "Forse ancora poesia".

Un po' del nostro tempo migliore è un album che definirei pressoché perfetto.

Senza dubbio l'apice del rock sinfonico. Basti pensare che l'abum si apre con le note di "Preludio", esattamente come i preludi delle grandi opere liriche. L'influsso di Puccini è evidente in Facchinetti, e le melodie che compongo il disco (tutte sue, a parte Mediterraneo, Orient express scritte insieme a Battaglia) ne sono le più chiare testimoni.

Dopo Preludio, un capolavoro dopo l'altro:

"Credo", oltre ad un testo sognante mette in risalto la potenza lirica del grande tastierista bergamasco;

"Una storia che fa ridere" si apre con un cantato di Battaglia, accompagnato solamente dall'eco della sua voce, e descrive la fine del rapporto tra due ragazzi perché la donna si innamora del migliore amico di lui. Meraviglioso il finale, in cui l'uomo si prende la rivincita "Via di qui, per favore via, aprirò le finestre e poi, se mi viene, io ne riderò.";

"Oceano" è lo sguardo di un uomo verso l'immensità. Fondamentale l'uso del clavicembalo di Roby, che fa qui la prima apparizione;

"Fantasia" è un'altra perla, in cui ad una melodia allegra (completamente acustica, solo con la chitarra di Dodi) si contrappone un testo amarissimo, l'illusione, l'evadere nei sogni di una ragazza, che poi però apre gli occhi e riscopre la sua triste realtà "Con triste tenerezza intorno a noi vedrai, il mare nell'acquario e il fuoco spento ormai, la stanza di un ragazzo e non sorriderai.";

"Mediterraneo" è uno strumentale in cui su un giro molto semplice si susseguono vari strumenti (dal mandolino di Red allo xilofono di Stefano);

"Eleonora mia madre" è un ritratto del decadentismo e del gusto retrò che stregavano Lucariello (produttore del gruppo) e tutti i componenti, tra cui Stefano D'Orazio, alla sua prima apparizione come autore di testi;

"1966" è la perla del disco. Il titolo può rimandare a tante cose, sia all'esordio discografico del gruppo, sia alla storia d'amore finita tra due persone, nel quale l'uomo chiede alla donna di guardarlo senza paura e odiarlo solo quando lui si arrenderà. Struggente, emozionante, bello.

"Orient express" è un brano gradevole, che narra di un amore consumato sul famoso treno tra il protagonista ed una donna straniera.

"Il tempo, una donna, la città" è il brano migliore del disco, insieme a 1966. Negli oltre dieci minuti di canzone, un brano epico, cantato a tre voci che si alternano, la chitarra di Battaglia raggiunge il massimo dell'espressività quando suona le stesse note del cantato di Red. Da brivido. E poi il testo è un capolavoro, con quella chiusura finale che lascia aperte mille ipotesi "l'aria si chiude al silenzio e poi s'alza la polvere intorno a noi. Io chiudo gli occhi, li riapro, e..." e una coda strumentale di oltre due minuti, con un coro che si unisce all'ensamble dell'orchestra.

Il disco più bello e più sottovalutato dei Pooh. Senza dubbio.
Review written by Fabio Zuffanti for rollingstone.it (on August 24, 2020 at 11:26 am)
Fermi tutti: i Pooh? Quelli di Tanta voglia di lei e di Pensiero? Ebbene sì, i quattro teneri orsacchiotti che hanno fatto sognare nonne, mamme e figlie con la loro presenza pulita e le canzoni colme di buoni sentimenti, anche quando si spingevano verso territori più irti (vedi Pierre, sull’omosessualità in tempi in cui era tabù), nascondono un lato diverso. Da una parte le canzoni ‘normali’ (che comunque hanno spesso una struttura armonico-melodica di gran classe), dall’altra gli strumentali, le suite, i pezzi nei quali i quattro danno libero sfogo a tutto il loro amore per il prog. Sì, i Pooh sono dei progghettari sprecati. O meglio, bene hanno fatto a dedicarsi all’arte della canzone che ha permesso loro di diventare ricchi e famosi, ma il loro cuore batte anche da un’altra parte, verso il rock sinfonico che più sinfonico non si può. Del resto se lo possono permettere, sono strumentisti a dir poco eccezionali.

Prendiamo Dodi Battaglia, il nostro David Gilmour, stessa maestria, vigore e tocco riconoscibilissimo. La differenza con il celeberrimo inglese è data dal fatto che il buon David sa fare due cose e le fa divinamente, Dodi invece è un vero mostro capace di passare disinvoltura dal rock alla classica al jazz e al folk come se stesse mangiando un pacchetto di popcorn. Ci sono certi assoli di Battaglia che sono da urlo, da vero fuoriclasse. Che strappano il cuore in quanto a intensità.

Vogliamo parlare poi di Roby Facchinetti? Il nostro Rick Wakeman, tanto abile a destreggiarsi tra mille tastiere, quanto peculiare nel timbro vocale e nelle composizioni che spaziano dal pop alla classica. È lui la vera anima prog dei Pooh, si vede all’istante il suo godere nel lanciarsi in assoli al Minimoog o nello stendere colate di Mellotron.

E gli altri due? Beh, questi il prog lo hanno fatto veramente, prima di entrare nei Pooh. Red Canzian era parte dei Capsicum Red (l’unico parto Appunti per un’idea fissa è negli annali del sinfonico italiano) ed è parimenti il nostro Chris Squire (gli somiglia anche fisicamente), ma anche lui è più versatile: contrabbasso, basso senza tasti, rock, fusion, orchestra. Stefano D’Orazio (che veniva da Il Punto, un solo album che sono due colonne sonore spalmate sui lati del vinile: In nome del popolo italiano e Ettore Lo Fusto) dei quattro è il musicista meno dotato. Continuando con il giochino lo potremmo definire il nostro Nick Mason, tecnicamente così così, ma insostituibile proprio per le sue peculiarità. Le rullatone sui pezzi più sinfonici dei Pooh non possono essere eseguire da nessun virtuoso, sono il pane di D’Orazio che porta a casa un gol a ogni colpo.

Insomma, un’alchimia perfetta che viene fuori soprattutto quando i quattro si liberano dei vincoli canzonettistici e si lanciano a fare ciò che più amano: il prog, appunto. Qualcuno storce ancora il naso? Provate ad ascoltare uno dei 10 pezzi che vi propongo, in ordine inverso di bellezza, poi ne riparliamo.

8. “Preludio” (da “Un po’ del nostro tempo migliore”, 1975)

Nel 1975 i Pooh decidono di fare sul serio con un disco colmo da cima a fondo di decadente neoclassicismo (lo si capisce fin dalla copertina). Vogliono dimostrare di non essere solo dei bambocci in pasto alle ragazzine, ma veri musicisti. Il problema è che a chi ascolta roba seria dei Pooh non frega nulla e alle ragazzine il lato colto della band passa inosservato. Nonostante tutto il disco è di grande valore, prova ne è questo Preludio strumentale in crescendo con orchestrona e tema da epica colonna sonora.

2. “Il tempo, una donna, la città” (da “Un po’ del nostro tempo migliore”, 1975)

Uno dei momenti più alti nella storia dei Pooh, una suite da sogno per oltre 10 minuti di musica metafisica come un quadro di De Chirico, sospesa tra realismo magico e surrealtà, con le voci ad alternarsi solisticamente e coralmente alla stregua i migliori Yes. Un puzzle di diversi quadri sonori a incastrarsi in maniera prima soffusa e poi più energica, con cambi di tempo, tonalità e atmosfere.
Un vero concentrato di tutto il meglio del prog di marca Pooh. Potete amarli o odiarli, ma è impossibile per chiunque non riconoscere la loro classe.
Review written by Maria Laura Toncli for ondamusicale.it (on February 16, 2021)
“Erano anni in cui il nostro mestiere era tutto da inventare, non c’erano punti di riferimento e anche le attrezzature si evolvevano per sperimentazione.” afferma Stefano D’Orazio commentando l’album.

Un po’ del nostro tempo migliore si presenta come un LP troppo difficile per il pubblico dei Pooh, abituato a canzoni pop di rapida presa. Gli arrangiamenti complessi portano ad una strumentazione tipica del Rock Progressivo, affidata a Roby Facchinetti, che arricchisce il proprio “angolo tastiere” con mellotron, clavinet, minimoog, clavicembalo e celesta. L’utilizzo massiccio dell’orchestra, di lunghi pezzi strumentali non favorisce certamente il passaggio radiofonico, che riguarderà solo Mediterraneo e Eleonora, mia madre in versione ridotta. Ma quando i Pooh avevano deciso di capovolgere quei capisaldi che li avevano resi ricchi e famosi, sapevano perfettamente fosse una grande sfida, ma densa di singolare valore musicale. Infatti da molti è considerato l’apice del rock sinfonico. Forse è la musica che le nuove generazioni non conoscono, ma contemporaneamente è motivo d’orgoglio dei veri intenditori, coloro che sanno perfettamente che i Pooh non sono “solo quelli di Piccola Katy.”

L’album si apre sulle note di Preludio esattamente come i preludi delle grandi opere liriche, proprio a sottolineare il diverso spessore associato a una nuova maturità artistica. L’influsso di Puccini è evidente per Facchinetti attraverso le note del flauto adagiate su archi gentili che colorano il brano e la melodia che bene esprime l’essenza della cultura italiana. Provate a immaginarla accompagnata dalle immagini dei sogni che vorreste realizzare e sono nel cassetto ormai da tempo, un po’ sbiaditi…

Non è forse la colonna sonora perfetta? La quintessenza della band appare perfettamente in Credo, brano denso di dolce sollievo, leggerezza ma dotato di notevole forza espressiva. “

È cantando questo pezzo che ho iniziato a sentirmi davvero un cantante. Fino a quel momento, un po’ per timidezza, un po’ perché in effetti ritenevo più gratificante suonare il piano o le tastiere, davo scarso rilievo alla voce. Da quel momento in poi invece ho cominciato a ritenere questo “strumento” importante quanto una chitarra o un pianoforte.“ si confida Roby.

Una storia che fa ridere si apre con un cantato di Battaglia accompagnato solo dall’eco della sua voce. Evoca da subito un’atmosfera molto intima e riflessiva: descrive infatti la fine di un rapporto tra due uomini a causa della donna che si innamora del migliore amico di lui. Colpo di scena nel riscatto finale “Via di qui / per favore, via / aprirò / le finestre e poi/se mi viene / io ne riderò”.
Poi, all’improvviso, uno dei momenti salienti dell’album: Oceano.

È lo sguardo dell’uomo verso l’immensità: un uomo solitario che naviga lontano da casa e assapora il significato autentico della vastità del mare e dei suoi orizzonti infiniti. Il clavicembalo appare per la prima volta regalando un’essenza di libertà. Le voci intense di Facchinetti e Battaglia distese su commoventi melodie classicheggianti dispiegano stati d’animo mutevoli, tra sorprendenti uptempo dal retrogusto liricoe straordinari virtuosismi di Dodi Battaglia. Sognante l’arpeggio completamente acustico dal sapore ricercato di Fantasia, in cuil’allegra e leggera melodia fa da sottofondo ad un testo amarissimo: racconta di una ragazza che cerca di evadere nei suoi sogni. Poi però apre gli occhi e riscopre la sua triste realtà.

Il lato B dell’LP inizia con Mediterraneo, un altro strumentale dal profumo d’origano in cui il tema viene reiterato all’infinito – ricordando il tipico stile barocco. Si susseguono vari strumenti: lo xilofono di D’Orazio, mentre Dodi Battaglia suona una chitarra acustica 12-corde, la steel guitar e il mandolino.

È nato come brano strumentale composto da me e Roby” racconta Dodi “Per comporre la prima parte usai la prima dodici corde che mi sono comprato. Quando scoppiò il successo di Tanta voglia di lei, la nostra casa discografica guadagnò tanti soldi che decise di farci un regalo: ci dissero di andare in un negozio di strumenti musicali e di comprarcene uno a testa. Quella che acquistai, poi l’avrei utilizzata per incidere Pensiero e Mediterraneo. In quel periodo imperversava la musica strumentale di Mike Oldfield e Mediterraneo è figlia di Tubular Bells: con i suoi crescendo, ritengo che sia un pezzo pregevole.”

Il tutto egregiamente accompagnato e supportato dall’Orchestra Sinfonica della RAI di Milano composta da 44 elementi. Fu proprio la Rai nel 1975 a commissionare lo special – omonimo dell’album – girato tra Sperlonga e Roma sotto la regia di Carlo Tuzii e la sceneggiatura di Carla Vistarini. Eleonora mia madre è un ritratto del decadentismo dal gusto retrò che oltre a stregare tutti i componenti del gruppo compreso il produttore Lucariello, probabilmente sarebbe piaciuto anche ai grandi della fine del XIX secolo – Oscar Wilde per esempio.

“Memoria di tempi tranquilli e sprecati, colati fra le dita come uova per fare la torta, pettinati lentamente su spiagge di secchielli e fotoromanzi, ripiegati negli armadi stagione per stagione, sempre più in fondo” per utilizzare le parole di Valerio Negrini, che stavolta non è paroliere. Infatti, è il primo testo prodotto dal batterista Stefano D’Orazio.

Stefano ha scritto davvero un testo straordinario: dopo averlo letto, capii che poteva diventare importante per noi come autore, una validissima alternativa a Valerio” racconta in un intervista Roby Facchinetti. Il brano narra di una ragazza madre che pur di avere suo figlio rinuncia sia alla giovinezza che alla sua vita, scegliendo di crescerlo da sola e dedicandogli tutta se stessa. Stupendo l’interscambio della ballata triste e classica con la parte cantata, che risulta quasi ossessivo ma allo stesso tempo delicato. Non sembra anche a voi di vedere Eleonora che apre un vecchio baule in soffitta e tirando fuori un abito sgualcito di quando era giovane fa cadere un carillon che si apre e inizia a suonare? Dolcemente, con l’abito appoggiato addosso, comincia a oscillare cullata dalle nostalgiche note del valzer che si fanno sempre più veloci e intense, in sintonia con i suoi movimenti. La musica sfuma pian piano e quando finisce, lei si ferma di colpo: guardandosi allo specchio riesce a mettere a fuoco soltanto le sue rughe.

L’ottava traccia, 1966, allude senz’altro all’esordio discografico del gruppo. Qui ritroviamo il clavicembalo in un solo verso la fine del brano, che si inserisce perfettamente nella cornice degli altri strumenti, come il moog o il mellotron e sublimi assoli di chitarra. Fermi alla stazione, attendiamo l’Orient Express per andare lontano, fino all’Asia, perché “C’è in quella terra una luce in più” che illuminerà dolcemente i nostri sogni romantici ad occhi aperti. Per rimanere in tema onirico, a conclusione dell’album la sorprendente suite Il tempo, una donna, la città.

Quando lessi per la prima volta il testo scritto da Valerio, gli domandai se era impazzito: per me erano parole assolutamente incomprensibili. Lui mi spiegò che era il racconto di un sogno. Questa è la suite più lunga e complessa che io abbia mai scritto, ci sono ben 9 temi diversi e racchiude tutte le sfaccettature dei Pooh: strumentali, acustiche, corali, vocali, sinfoniche. Per me ogni volta che nasce una canzone è come se si compisse un piccolo miracolo. Tutto parte dall’istintività, poi piano piano si materializza qualcosa” racconta Facchinetti che supera se stesso per la composizione sublime.

Continue variazioni stilistiche e strumentali si alternano tra momenti acustici profondamente intimi, imponenti melodie leggendarie e la massima espressività della chitarra elettrica quando su0na le stesse note cantate da Red Canzian. Così, i dieci minuti scorrono velocissimi trasportandoci nell’incanto del sogno raccontato. Le note creano una connessione con un tempo surreale in cui Negrini incontra la madre, in un crescendo di atmosfere e di attese nasce la speranza di incontrarla di nuovo, magari un domani. Un brano epico cantato a tre voci in cui il testo enigmatico è pura poesia e ricorda la potenza espressiva della suite dell’album precedente, Parsifal.

La chiusura finale lascia aperte infinite ipotesi legate al tempo del risveglionello spazio della coda strumentale di oltre due minuti, in cui un coro si unisce all’ensemble orchestrale

L’aria si chiude al silenzio e poi / S’alza la polvere intorno a noi / Io chiudo gli occhi li riapro e…”
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